I nazareni La riforma costituzionale che fino alla settimana scorsa, sembrava impossibile da far approvare, sta per essere licenziata comodamente. Le opposizioni hanno sbagliato tutti gli argomenti della loro protesta, per non parlare dei toni e dei modi, ed un governo che non sapeva che pesci prendere, si è trovato la strada spianata. Dalla raccolta di firme promossa da “il Fatto quotidiano”, dal titolo “no ai ladri di democrazia”, fino all’ultima inutile battaglia per le preferenze, che a rigore con la riforma non c’entra niente, con tanto di schiamazzi da polli strozzati in Aula: tutto ha giocato a favore dei due nazareni, Renzi e Berlusconi, prossimi padri della patria. Ladri di democrazia? Che sciocchezza. Se Pd e Pdl hanno la maggioranza parlamentare, come si può sostenere un’ obiezione tanto insensata? Ma avanza il terribile rischio autoritario che i professoroni alla Rodotà si sono messi a paventare? Ancora più ridicolo, perché non è il monocameralismo in quanto tale a creare la premessa del colpo di Stato. Forse che l’assenza del voto di preferenza restringe la scelta dei cittadini? Premesso che questa non è materia della riforma, le liste le compongono comunque le segreterie nazionali dei partiti ed il voto di preferenza oramai premia i Fiorito della situazione. Sballato tutto l’impianto di contestazione della riforma, aggiungendovi le sceneggiate in aula, ecco che i due nazareni futuri padri della Patria si sentono il bottino in tasca. C’era un solo argomento vero da tenere fermo, evitando i toni enfatici ed esasperati che si sono invece voluti portare avanti, quello che colpiva l’attenzione della stessa Forza Italia: l’elezione indiretta del Senato. L’onorevole Brunetta era stato il primo a dire che fosse incomprensibile e che occorresse semmai presentare una lista con l’elenco dei senatori candidati, scorporata da quella dei candidati alle Regioni. E’ qui infatti che vacilla la riforma. Un Senato di soli cento membri, selezionati all’interno dei consigli regionali, rischia di essere più coeso e forte di una Camera di nominati. I senatori sono eletti su base locale, poi confermati dalle loro assemblee e una volta a palazzo Madama vincolati a difendere i loro interessi amministrativi in contrapposizione con le esigenze del governo centrale. La riforma non è autoritaria, è invece paradossale perché si vuole dipanare il contenzioso della legislazione concorrente, modificando nuovamente il titolo V, cosa giustissima, e si instaura un conflitto permanente all’interno delle istituzioni rappresentative Camera e Senato, cosa folle. Allo stesso Berlusconi era sfuggito che sarebbe stato meglio abolirlo del tutto il Senato che votare questa specie di assemblea corporativa. Con un minino di intelligenza le opposizioni avrebbero dovuto battere questa strada, non l’hanno fatto e hanno subito una disfatta tanto rapida quanto inesorabile. A questo punto è inutile andare a soccorrere lo sconfitto, bisogna invece incalzare i vincitori, perché il Senato è contrapposto alla Camera ed ancora non l’hanno capito, tranne forse Brunetta e Minzolini. A che caspita serve una riforma che rischia di paralizzare l’esecutivo e creare uno scontro permanente tra interesse nazionale e interesse locale? Per lo meno si rafforzino i poteri del premier come voleva la riforma del centrodestra nel 2006 o si introduca il presidenzialismo, modificando la Costituzione “più bella del mondo”, in profondità. L’idea di procedere a capitoli separati, senza dare un’idea generale dello Stato in cui si vorrebbe vivere, è alla base del disastro istituzionale a cui stiamo andando incontro. Se non è più possibile il parlamentarismo, la soluzione presidenziale diviene inevitabile. Berlusconi lo pensa da anni, Renzi lo deve spiegare al Pd che Berlusconi aveva ragione. Roma, 5 agosto 2014 |